Osamu Tezuka è uno di quegli autori non semplicissimi da trattare, un po’ perché ci si sente in dovere di conoscere tutto lo scibile umano prima di analizzare le sue opere - soprattutto quelle più importanti e di più ampio respiro - e un po’ perché è normale farsi prendere da un minimo di ansia da prestazione prima di parlare di colui che si è guadagnato l’appellativo di "kamisama".
E chissà, in qualche caso questa sorta di aura divina potrà anche aver scoraggiato il lettore occasionale, che avrà percepito come difficile o impegnativo l’autore. Ma se stiamo qui a proporre queste due righe è proprio perché Dororo è un manga tranquillamente fruibile anche da chi, come il sottoscritto, non ha mai letto nulla prima di Osamu Tezuka; una miniserie che palesa come la bravura di un autore risieda anche nel trattare in maniera assolutamente godibile e scorrevole - apparentemente leggera - perfino le intime bassezze dell’animo umano.
Dororo fu pubblicato nel 1967 su Shounen Sunday di Shogakukan, e trasposto in una serie animata di 26 episodi nel 1969. Tra le riduzioni recenti si annoverano un live action del 2007 diretto da Shiota Akihiko, nonché un videogioco del 2005 sviluppato da Sega per Playstation 2.
La storia inizia con una tipica atmosfera da “Era una notte buia e tempestosa”, con Lord Daigo Kagemitsu, un ambizioso daimyo intenzionato a stringere un patto con 48 demoni per “possedere tutto ciò che è sotto il cielo”. In cambio egli immolerà il suo figlio nascituro, lasciando che ognuno dei suddetti demoni si impossessi di una parte del suo corpicino. Nasce così, di lì a poco, un neonato privo praticamente di qualsiasi propaggine anatomica (occhi, orecchie, bocca, arti…), un tronco umano che verrà quindi abbandonato in una cesta sul fiume e lasciato al suo destino.
Lo sventurato infante verrà però trovato da Jukai, un medico che decide caritatevolmente di allevarlo fino a quando, una volta cresciuto, Hyakkimaru (“bambino dei cento demoni”) non deciderà di intraprendere un lungo viaggio alla ricerca dei 48 demoni da sconfiggere per riacquistare un corpo integro, ed infine trovare il suo posto nel mondo. Questo è reso possibile sempre da Jukai che, dando fondo a tutte le proprie abilità mediche, riesce a rimettere in sesto il corpo di Hyakkimaru con delle protesi che gli danno l’aspetto di un normale giovanotto, e che gli permettono di combattere con abilità tenendo testa agli innumerevoli pericoli che si ritroverà ad affrontare durante i suoi viaggi.
A questo punto qualcuno si starà chiedendo chi è questo Dororo che dà nome al manga. Infatti Dororo è quello che si è piuttosto portati a considerare un personaggio secondario di quest’opera, almeno inizialmente: trattasi di un pestifero e irritante orfanello che Hyakkimaru incontra durante il suo peregrinare; un ladruncolo che decide cocciutamente di affiancarlo nei suoi viaggi perigliosi a caccia di demoni, ma che si rivela essere un’anima affine con un passato ugualmente triste e solitario alle spalle.
Dororo può vantare influenze folkloristiche e teatrali che all’epoca dettarono un nuovo standard per le storie d’avventura successive su samurai e affini. Ed anche oggi si possono notare similitudini più o meno evidenti con altri titoli più recenti. A voler fare un po’ di paragoni coraggiosi, vengono in mente titoli più o meno noti come Inuyasha (il contesto storico, i viaggi, gli innocenti da salvare dai demoni e la caccia agli stessi per recuperare le parti di un qualcosa), Kurogane (un errabondo burattino umano combattente, come Hyakkimaru), Fullmetal Alchemist (la ricerca finalizzata al recupero di parti del corpo), o addirittura Alita (il classico tema del rottame - umano o quasi - ritrovato dallo scienziato/dottore di turno che lo rimette in sesto); e si potrebbe continuare.
In realtà lo stesso Osamu Tezuka ammette come la genesi della sua opera sia stata tutt’altro che “originale”, ed infatti ad ispirarlo fu il desiderio irrefrenabile di emulare le storie di genere yōkai portate alla ribalta nella metà degli anni ’60 da Shigeru Mizuki (famoso è il suo Kitaro dei cimiteri), col quale si sentì quindi in dovere di competere (Tezuka stesso afferma di essere sempre stato molto competitivo).
Ma l’incipit di Tezuka è molto meno irreale di quanto possa sembrare. Infatti sin da epoca antica le cronache purtroppo riportano di natali così infausti, di bambini focomelici, emimelici, privi parzialmente o totalmente di arti; come nel caso della categoria teratologica dei tronchi umani. È il caso di Prince Randian, il cosiddetto "bruco umano", forse il caso più famoso in quest’ambito, tanto che comparve anche in Freaks, celebre film del 1932 diretto da Tod Browning.
Chissà che Osamushi non si sia ispirato proprio a costui, l’uomo bruco, per il personaggio di Hyakkimaru. Ma non è da escludere anche qualche reminiscenza autobiografica; infatti Tezuka sapeva bene cosa significasse non poter utilizzare i propri arti, visto che trascorse un lungo periodo della sua vita, da ragazzo, senza poter servirsi delle braccia a causa di una grave forma di infezione cutanea, tanto grave che rischiò addirittura l’amputazione degli arti superiori. Un problema che si ripresentò più volte durante la sua vita.
Durante la realizzazione di Dororo, Tezuka continuò a documentarsi sul periodo degli Stati Combattenti (non aveva mai affrontato questo contesto prima di allora) sviluppando un gran coinvolgimento in merito al tema dei soprusi subiti dal ceto contadino, tanto che, quasi senza rendersene conto, il manga cominciò ad assumere toni sempre più gravi.
Seguendo le avventure di Hyakkimaru e Dororo non è raro, infatti, incappare in avvenimenti impressionati e tragici; ma il risultato finale quasi mai risulta davvero sconcertante (se non ad un livello più sottile). Questo è possibile grazie al ricorso a toni da commedia e vignette ironiche, ma è anche merito dello stile disneyano di Tezuka, che sdrammatizza di molto l’impatto.
Dororo è il tipico manga che intrattiene, diverte e, nello stesso momento, sfiora tematiche importanti. Infatti ci si può limitare ad apprezzarlo come un avvincente racconto storico d’avventura con elementi soprannaturali, oppure coglierne il lavoro di ricostruzione storico-sociale, l’affresco di un’epoca d'anarchia e lotte di potere, in cui il vagabondare dei nostri eroi in un paese affamato, che si ritrova a fare i conti con gli strascichi di conflitti che hanno portato miseria ovunque, è anche un pretesto per raccontare degli egoismi insiti nella natura umana, e che in quel contesto son quasi visti come necessari alla sopravvivenza.
Le tavole di Dororo, dicevamo, sono “disneyane”, e cioè hanno quel chara design che tanto deve alla storica produzione statunitense degli anni d’oro, e che verrà poi metabolizzato e rielaborato nello stile e nel tratto da quella che sarà in pratica un intera, gloriosa, generazione di mangaka giapponesi, con Osamu Tezuka in testa.
È quel bel disegno d’annata in cui i protagonisti hanno grossi occhioni espressivi e piedi paffuti dai quali immancabilmente spunta l’alluce. Le linee, sinuose, si ingrossano e assottigliano per delineare con eleganza i contorni; e non vi sono retini di riempimento, ma i piani son semplicemente evidenziati mediante l’utilizzo del tratto ed uniformi campiture di nero.
In definitiva uno stile che applica magistralmente il principio del fumetto graficamente inteso come sintesi, ma che allo stesso tempo sa essere deliziosamente descrittivo, soprattutto negli scorci naturalistici.
La serializzazione di Dororo, partita e proseguita con molto entusiasmo, ebbe una battuta d’arresto in un secondo momento: Tezuka all’epoca finì per metterlo da parte perché fu assorbito totalmente dalla serializzazione di una nuova opera, Prince Norman (1968), tanto che poi fu l’editore stesso a sancire la sospensione ufficiale di Dororo.
Dopo aver però concluso Prince Norman, Tezuka tornò al lavoro su Dororo che nel frattempo stava acquistando una certa notorietà dopo l'inizio, nel 1969, della trasmissione dell'anime su Fuji TV.
Così, anche se ormai il progetto di narrare gli scontri dei suoi beniamini contro ognuno dei 48 demoni fosse ormai fuori discussione, Tezuka decise comunque di dare una degna conclusione, anche se un filino aperta, alle avventure di Hyakkimaru e Dororo.
Dororo è stato recentemente pubblicato in Italia da Goen in quattro volumi ben confezionati e dagli ottimi materiali: la brossura è affidabile, la sovraccoperta robusta e ben plastificata, la carta liscia e bianca. Le onomatopee son ben riadattate e nel complesso la traduzione appare scorrevole, anche se possono suscitare dei dubbi alcune scelte d’adattamento.
Durante la lettura, infatti, difficilmente si incontrano termini e appellativi specifici riconducibili al Giappone storico dell’epoca Segoku; come se si fosse preferito evitare l'appesantimento della lettura tramite note esplicative, mirando invece a rendere immediatamente accessibile il manga ad un pubblico più generalista che purista.
Una scelta che può anche avere il suo perché, per carità, perché riservare ad esempio a Daigo Kagemitsu (il padre di Hyakkimaru) il generico appellativo di “lord”, anziché "daimyo" può anche risultare indolore, ma imbattersi in uno “sceriffo” (da pagina 19 del vol.2) invece dell’originale "daikan" (代官, il magistrato/ufficiale giudiziario dell’epoca) fa tanto vecchio Far West e non Giappone antico.
A parte ciò, nessun particolare difetto da notare; la lettura scorre piacevole ed agile per tutti e 4 i volumi e l’unico errore notato è un piccolo balloon vuoto a pagina 94 del volume 3.
E chissà, in qualche caso questa sorta di aura divina potrà anche aver scoraggiato il lettore occasionale, che avrà percepito come difficile o impegnativo l’autore. Ma se stiamo qui a proporre queste due righe è proprio perché Dororo è un manga tranquillamente fruibile anche da chi, come il sottoscritto, non ha mai letto nulla prima di Osamu Tezuka; una miniserie che palesa come la bravura di un autore risieda anche nel trattare in maniera assolutamente godibile e scorrevole - apparentemente leggera - perfino le intime bassezze dell’animo umano.
Dororo fu pubblicato nel 1967 su Shounen Sunday di Shogakukan, e trasposto in una serie animata di 26 episodi nel 1969. Tra le riduzioni recenti si annoverano un live action del 2007 diretto da Shiota Akihiko, nonché un videogioco del 2005 sviluppato da Sega per Playstation 2.
La storia inizia con una tipica atmosfera da “Era una notte buia e tempestosa”, con Lord Daigo Kagemitsu, un ambizioso daimyo intenzionato a stringere un patto con 48 demoni per “possedere tutto ciò che è sotto il cielo”. In cambio egli immolerà il suo figlio nascituro, lasciando che ognuno dei suddetti demoni si impossessi di una parte del suo corpicino. Nasce così, di lì a poco, un neonato privo praticamente di qualsiasi propaggine anatomica (occhi, orecchie, bocca, arti…), un tronco umano che verrà quindi abbandonato in una cesta sul fiume e lasciato al suo destino.
Lo sventurato infante verrà però trovato da Jukai, un medico che decide caritatevolmente di allevarlo fino a quando, una volta cresciuto, Hyakkimaru (“bambino dei cento demoni”) non deciderà di intraprendere un lungo viaggio alla ricerca dei 48 demoni da sconfiggere per riacquistare un corpo integro, ed infine trovare il suo posto nel mondo. Questo è reso possibile sempre da Jukai che, dando fondo a tutte le proprie abilità mediche, riesce a rimettere in sesto il corpo di Hyakkimaru con delle protesi che gli danno l’aspetto di un normale giovanotto, e che gli permettono di combattere con abilità tenendo testa agli innumerevoli pericoli che si ritroverà ad affrontare durante i suoi viaggi.
A questo punto qualcuno si starà chiedendo chi è questo Dororo che dà nome al manga. Infatti Dororo è quello che si è piuttosto portati a considerare un personaggio secondario di quest’opera, almeno inizialmente: trattasi di un pestifero e irritante orfanello che Hyakkimaru incontra durante il suo peregrinare; un ladruncolo che decide cocciutamente di affiancarlo nei suoi viaggi perigliosi a caccia di demoni, ma che si rivela essere un’anima affine con un passato ugualmente triste e solitario alle spalle.
Dororo può vantare influenze folkloristiche e teatrali che all’epoca dettarono un nuovo standard per le storie d’avventura successive su samurai e affini. Ed anche oggi si possono notare similitudini più o meno evidenti con altri titoli più recenti. A voler fare un po’ di paragoni coraggiosi, vengono in mente titoli più o meno noti come Inuyasha (il contesto storico, i viaggi, gli innocenti da salvare dai demoni e la caccia agli stessi per recuperare le parti di un qualcosa), Kurogane (un errabondo burattino umano combattente, come Hyakkimaru), Fullmetal Alchemist (la ricerca finalizzata al recupero di parti del corpo), o addirittura Alita (il classico tema del rottame - umano o quasi - ritrovato dallo scienziato/dottore di turno che lo rimette in sesto); e si potrebbe continuare.
In realtà lo stesso Osamu Tezuka ammette come la genesi della sua opera sia stata tutt’altro che “originale”, ed infatti ad ispirarlo fu il desiderio irrefrenabile di emulare le storie di genere yōkai portate alla ribalta nella metà degli anni ’60 da Shigeru Mizuki (famoso è il suo Kitaro dei cimiteri), col quale si sentì quindi in dovere di competere (Tezuka stesso afferma di essere sempre stato molto competitivo).
Ma l’incipit di Tezuka è molto meno irreale di quanto possa sembrare. Infatti sin da epoca antica le cronache purtroppo riportano di natali così infausti, di bambini focomelici, emimelici, privi parzialmente o totalmente di arti; come nel caso della categoria teratologica dei tronchi umani. È il caso di Prince Randian, il cosiddetto "bruco umano", forse il caso più famoso in quest’ambito, tanto che comparve anche in Freaks, celebre film del 1932 diretto da Tod Browning.
Chissà che Osamushi non si sia ispirato proprio a costui, l’uomo bruco, per il personaggio di Hyakkimaru. Ma non è da escludere anche qualche reminiscenza autobiografica; infatti Tezuka sapeva bene cosa significasse non poter utilizzare i propri arti, visto che trascorse un lungo periodo della sua vita, da ragazzo, senza poter servirsi delle braccia a causa di una grave forma di infezione cutanea, tanto grave che rischiò addirittura l’amputazione degli arti superiori. Un problema che si ripresentò più volte durante la sua vita.
Durante la realizzazione di Dororo, Tezuka continuò a documentarsi sul periodo degli Stati Combattenti (non aveva mai affrontato questo contesto prima di allora) sviluppando un gran coinvolgimento in merito al tema dei soprusi subiti dal ceto contadino, tanto che, quasi senza rendersene conto, il manga cominciò ad assumere toni sempre più gravi.
Seguendo le avventure di Hyakkimaru e Dororo non è raro, infatti, incappare in avvenimenti impressionati e tragici; ma il risultato finale quasi mai risulta davvero sconcertante (se non ad un livello più sottile). Questo è possibile grazie al ricorso a toni da commedia e vignette ironiche, ma è anche merito dello stile disneyano di Tezuka, che sdrammatizza di molto l’impatto.
Dororo è il tipico manga che intrattiene, diverte e, nello stesso momento, sfiora tematiche importanti. Infatti ci si può limitare ad apprezzarlo come un avvincente racconto storico d’avventura con elementi soprannaturali, oppure coglierne il lavoro di ricostruzione storico-sociale, l’affresco di un’epoca d'anarchia e lotte di potere, in cui il vagabondare dei nostri eroi in un paese affamato, che si ritrova a fare i conti con gli strascichi di conflitti che hanno portato miseria ovunque, è anche un pretesto per raccontare degli egoismi insiti nella natura umana, e che in quel contesto son quasi visti come necessari alla sopravvivenza.
Le tavole di Dororo, dicevamo, sono “disneyane”, e cioè hanno quel chara design che tanto deve alla storica produzione statunitense degli anni d’oro, e che verrà poi metabolizzato e rielaborato nello stile e nel tratto da quella che sarà in pratica un intera, gloriosa, generazione di mangaka giapponesi, con Osamu Tezuka in testa.
È quel bel disegno d’annata in cui i protagonisti hanno grossi occhioni espressivi e piedi paffuti dai quali immancabilmente spunta l’alluce. Le linee, sinuose, si ingrossano e assottigliano per delineare con eleganza i contorni; e non vi sono retini di riempimento, ma i piani son semplicemente evidenziati mediante l’utilizzo del tratto ed uniformi campiture di nero.
In definitiva uno stile che applica magistralmente il principio del fumetto graficamente inteso come sintesi, ma che allo stesso tempo sa essere deliziosamente descrittivo, soprattutto negli scorci naturalistici.
La serializzazione di Dororo, partita e proseguita con molto entusiasmo, ebbe una battuta d’arresto in un secondo momento: Tezuka all’epoca finì per metterlo da parte perché fu assorbito totalmente dalla serializzazione di una nuova opera, Prince Norman (1968), tanto che poi fu l’editore stesso a sancire la sospensione ufficiale di Dororo.
Dopo aver però concluso Prince Norman, Tezuka tornò al lavoro su Dororo che nel frattempo stava acquistando una certa notorietà dopo l'inizio, nel 1969, della trasmissione dell'anime su Fuji TV.
Così, anche se ormai il progetto di narrare gli scontri dei suoi beniamini contro ognuno dei 48 demoni fosse ormai fuori discussione, Tezuka decise comunque di dare una degna conclusione, anche se un filino aperta, alle avventure di Hyakkimaru e Dororo.
Dororo è stato recentemente pubblicato in Italia da Goen in quattro volumi ben confezionati e dagli ottimi materiali: la brossura è affidabile, la sovraccoperta robusta e ben plastificata, la carta liscia e bianca. Le onomatopee son ben riadattate e nel complesso la traduzione appare scorrevole, anche se possono suscitare dei dubbi alcune scelte d’adattamento.
Durante la lettura, infatti, difficilmente si incontrano termini e appellativi specifici riconducibili al Giappone storico dell’epoca Segoku; come se si fosse preferito evitare l'appesantimento della lettura tramite note esplicative, mirando invece a rendere immediatamente accessibile il manga ad un pubblico più generalista che purista.
Una scelta che può anche avere il suo perché, per carità, perché riservare ad esempio a Daigo Kagemitsu (il padre di Hyakkimaru) il generico appellativo di “lord”, anziché "daimyo" può anche risultare indolore, ma imbattersi in uno “sceriffo” (da pagina 19 del vol.2) invece dell’originale "daikan" (代官, il magistrato/ufficiale giudiziario dell’epoca) fa tanto vecchio Far West e non Giappone antico.
A parte ciò, nessun particolare difetto da notare; la lettura scorre piacevole ed agile per tutti e 4 i volumi e l’unico errore notato è un piccolo balloon vuoto a pagina 94 del volume 3.
Quella di Dororo è una storia che parla di avidità, della ricerca di se stessi, di privazioni affettive, di vendetta e viltà umana. È un’opera in cui la componente avventurosa è un pretesto per descrivere un contesto in cui i vessati, quando ne hanno l’opportunità, sanno macchiarsi d’infamia quanto gli stessi oppressori; in cui non vi sono buoni e cattivi, ma solo individui - nobili, contadini o gli stessi demoni - che, spinti da ingordigia, disperazione, fame o egoismo, antepongono i propri interessi a quelli di chiunque altro.
In tutto ciò i due protagonisti vestono i panni del deus ex machina errante; e dopo aver rischiato la vita per il bene del prossimo, ricevono puntualmente in cambio solo tanta ingratitudine.
Non sarà l’opera più impegnativa dell'autore, ma quella di Dororo è sicuramente ancora oggi, a tanti anni dalla sua prima pubblicazione, una lettura fresca e godibilissima anche per chi non ha mai letto nulla del gran maestro ed è magari in cerca di uno starting point ideale per rompere il ghiaccio con Osamu Tezuka.
In tutto ciò i due protagonisti vestono i panni del deus ex machina errante; e dopo aver rischiato la vita per il bene del prossimo, ricevono puntualmente in cambio solo tanta ingratitudine.
Non sarà l’opera più impegnativa dell'autore, ma quella di Dororo è sicuramente ancora oggi, a tanti anni dalla sua prima pubblicazione, una lettura fresca e godibilissima anche per chi non ha mai letto nulla del gran maestro ed è magari in cerca di uno starting point ideale per rompere il ghiaccio con Osamu Tezuka.
Titolo | Prezzo | Casa editrice |
---|---|---|
Dororo 1 | € 7.50 | Kabuki Publishing |
Dororo 2 | € 7.50 | Kabuki Publishing |
Dororo 1 | € 6.95 | Goen |
Dororo 2 | € 6.95 | Goen |
Dororo 3 | € 6.95 | Goen |
Dororo 4 | € 6.95 | Goen |
Dororo Omnibus | € 39.95 | Goen |
Va bene l'età, va bene le ingenuità e tutto... ma l'ho trovato scritto molto svogliatamente, con personaggi più o meno insignificanti e il ripetersi ininterrotto delle stesse situazioni fino alla fine. Grande varietà nel "monster design", ma questo è l'unico elemento positivo che gli riconosco. Stucchevole, troppo stucchevole nella sua ripetitività, nella tragicità ad ogni costo, negli insipportabili siparietti tra Dororo e Hyakkimaru. Il non finale e il free talk in cui Tezuka stesso lo definisce un'opera mal riuscita sono le ciliegine sulla torta.
Considerandolo in se stesso è un discreto titolo (un 7 se lo merita tutto), tuttavia ho trovato maggiormente interessante il suo ruolo all'interno della narrativa dell'autore. Nato in un momento di crisi e contemporaneamente di rinnovamento per Tezuka, è un segno della svolta narrativa dell'autore nell'abbracciare il rinnovamente tardo-gekiga e i titoli per adulti, svolta che in Dororo si avverte nella maggiore importanza di Hyakkimaru rispetto a Dororo. E' inoltre interessante scoprire che con Dororo Tezuka introduce per la prima volta le vessazioni del ceto contadino ad opera dei potenti durante il passato giapponese, tema ripreso successivamente anche ne La fenice e che sembra farlo andare incontro a un autore come Shirato (con cui Dororo ha più somiglianze rispetto a Mizuki).
"E' inoltre interessante scoprire che con Dororo Tezuka introduce per la prima volta le vessazioni del ceto contadino ad opera dei potenti durante il passato giapponese"
Beh insomma, non è che le vessazioni dei contadini siano un'invenzione di Tezuka o di Shirato, erano la semplice realtà dei tempi (quelli feudali). Personalmente non mi sembra chissà che rivoluzionaria trovata, è un semplice spaccato abbastanza credibile dell'epoca storica di riferimento.
Poi comunque non è proprio così scontata come tematica, visto che in Giappone hanno fatto di tutto per far credere che il popolo giapponese fosse sempre stato unito e compatto e che le opere di Shirato che negavano tale propaganda divennero i manifesti politici e sociali degli universitari in rivolta del '68.
Basti pensare che molti autori successivi e contemporanei si sono ispirati e si ispirano a questo titolo per rendere molti aspetti dei loro manga.
Ottima recensione!
@Kirio
Leggendo la tua frase ho capito che ti sei dimenticato che esistono mangaka come Sampei Shirato, Takao Saito, Jiro Taniguchi che hanno fatto la storia di questo settore con le loro bellissime opere.
Vedere solo Tezuka è riduttivo a mio modesto avviso
No ma non volevo dire che esiste solo lui infatti, solo che è il migliore di sempre, la frase era volutamente esagerata poi! Ho letto qualcosa di tutti i mangaka esistenti, quindi so di cosa parlo
Taniguchi ad esempio, nonostante abbia tutte le sue opere e lo stimi molto, non lo metterei tra i migliori di sempre.
Attenzione lieve SPOILER
E il congedarsi del protagonista che scompare all'orizzonte dirigendosi verso nuove avventure, senza che il lettore -assieme agli stessi co-potragonisti- sappia che fine abbia poi egli fatto, lascia un bel senso di mistero dal retrogusto leggendario, che non mi è dispiaciuto affatto.
A dirla tutta, neanche riesco a considerarlo del tutto un finale aperto.
Anche tralasciando la contestualizzazione del manga e il rapporto al corpus di Tezuka, Dororo è una lettura che mi è piaciuta molto.
Non sarà un capolavoro assoluto, ma magari fossero sempre così meritevoli le opere "minori" imho.
Solo 10.000?? Una sola tavola, ma che dico, una sola vignetta del peggior manga vale tutte le serie di manga spazzatura pieni di fan service che circolano!
Una sola tavola del peggior Tezuka vale più di TUTTI gli annunci della planet al romics messi insieme
Il migliore di sempre ? No, non penso.
Uno dei più grandi al limite.
Su Taniguchi non sono d'accordo sul fatto che non è sullo stesso livello: Ha fatto con il linguaggio delle sue opere la storia .
Chi sarebbe il migliore a tuo avviso?
Se Taniguchi ha fatto la storia, Tezuka E' la storia.
Che per te sia il migliore è un dato di fatto che non significa per forza di cose che sia vero.
Mi chiedi il migliore in assoluto ? Non esiste.
Esistono uno stretto gruppo di artisti ( tra cui Tezuka ) che hanno fatto la storia.
Io ti ho messo Shirato e Saito per farti capire questo discorso.
I manga sono progrediti grazie agli insegnamenti lasciati da più maestri.
Non uno solo..
Poi sappi che la storia dei manga non si è fermata agli anni 60 - 70.. No, come tutte le cose va avanti. ( anche se quella degli ultimi 10 anni non la considero. )
Detto questo Tezuka ha inventato di fatto il fumetto giapponese Prima non c'erano le riviste le ha sviluppate di fatto lui... Ed è stato lui a dare il via a tutto insieme a Shotaro Ishinomori. Definire quindi tezuka uno dei tanti è una cazzata epica. Tutti i grandi autori hanno preso da lui e senza di lui non ci sarebbe il manga moderno.
Ci sarà un motivo per cui tezuka è noto come il DIO dei manga.
Io comunque per ora ho solo letto l'uno di Dororo e mi è piaciuto, poi il tratto di Tezuka è fenomenale.
Non è vero che i suoi sono tutti grandi manga, non è vero che sono tutti mediamente piacevoli senza nessuna schifezza, e sopratutto non è vero che una sua opera, anche la meno riuscita, è superiore al 90% dei manga attualmente pubblicati in edicola.
La sua fama immensa è giusta e giustificata, ma questo non lo rende immune a qualsiasi critica divenendo intoccabile. Lui, come Jiro Taniguchi, come Naoki Urasawa, e come tanti altri grandi autori che sembrano magicamente al riparo da qualsiasi critica.
Per dirne una, preferisco tremila volte un manga del cacchio come Highschool of the Dead, che è puro fanservice fine a se stesso ma fatto con impegno e divertimento, piuttosto che un polpettone ripetitivo al massimo come Dororo, che lo stesso autore definisce, giustamente e mal ascoltato (dai fan), come venuto male.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.