La Storia è quella che riferiscono i libri, fatta di grandi imprese e di grandi uomini, delle loro nascite e dei loro crolli in mezzo a guerre e sconvolgimenti. È quella tramandata ai posteri per rendere loro conto su cosa è accaduto fino al loro oggi. House of Five Leaves invece riporta l’oggi del passato, fatto di storie perdute con i loro protagonisti, attori di una quotidianità inesistente nelle cronache.
Composto, delicato, House of Five Leaves si aggira per le vie feudali di Edo con i suoi personaggi, presa diretta sulle loro esistenze, su come tirano a campare giornalmente, ognuno schiavo del proprio vissuto, figlio delle proprie intime, occulte tragedie. Tranche de vie grondante minuzie socio-antropologiche, House of Five Leaves abita i più disparati luoghi – locande, bordelli, case nobiliari –, mostrando gesti, condizioni umane, modus vivendi e netiquette di quegli ambienti e di quell’epoca. Il suo pudore rifugge qualsiasi «pathos illusorio» cullandosi nella lentezza, formula di un vivere comune che non ha nulla di eclatante.
Nel suo rigore formale, nella sua austerità la regia è specchio del riserbo con il quale vengono presentate le scene e i dialoghi. La camera scorre leggera; i piani, interrogativi, indagano rivelando più delle azioni, escludendole anche, e un’inquadratura può racchiudere il senso del tutto.
Il ritmo si muove su brani caratteristici, miscele di tradizioni e di strumenti eterogenei. E la musica detta il tono, il quale a tratti scivola su note struggenti, su melodie che si esprimono al posto di personaggi vacui, al posto di fisionomie estremizzate, caricaturizzate, come quelle dei clown – visi come maschere. Perché tutti nascondono qualcosa, le proprie emozioni, il proprio retaggio, e prima ancora se stessi.
Sotto una luce diversa affiora il ricordo, uno squarcio raccordato al presente con uno sguardo, con un movimento, magari mediante la condivisione, la complicità nel dolore. Le memorie ricorrono, costante visione parallela, e la loro eredità segna quello che sei adesso, ciò che fai e cosa ti verrà incontro da un trascorso interrotto da troppo tempo.
Composto, delicato, House of Five Leaves si aggira per le vie feudali di Edo con i suoi personaggi, presa diretta sulle loro esistenze, su come tirano a campare giornalmente, ognuno schiavo del proprio vissuto, figlio delle proprie intime, occulte tragedie. Tranche de vie grondante minuzie socio-antropologiche, House of Five Leaves abita i più disparati luoghi – locande, bordelli, case nobiliari –, mostrando gesti, condizioni umane, modus vivendi e netiquette di quegli ambienti e di quell’epoca. Il suo pudore rifugge qualsiasi «pathos illusorio» cullandosi nella lentezza, formula di un vivere comune che non ha nulla di eclatante.
Nel suo rigore formale, nella sua austerità la regia è specchio del riserbo con il quale vengono presentate le scene e i dialoghi. La camera scorre leggera; i piani, interrogativi, indagano rivelando più delle azioni, escludendole anche, e un’inquadratura può racchiudere il senso del tutto.
Il ritmo si muove su brani caratteristici, miscele di tradizioni e di strumenti eterogenei. E la musica detta il tono, il quale a tratti scivola su note struggenti, su melodie che si esprimono al posto di personaggi vacui, al posto di fisionomie estremizzate, caricaturizzate, come quelle dei clown – visi come maschere. Perché tutti nascondono qualcosa, le proprie emozioni, il proprio retaggio, e prima ancora se stessi.
Sotto una luce diversa affiora il ricordo, uno squarcio raccordato al presente con uno sguardo, con un movimento, magari mediante la condivisione, la complicità nel dolore. Le memorie ricorrono, costante visione parallela, e la loro eredità segna quello che sei adesso, ciò che fai e cosa ti verrà incontro da un trascorso interrotto da troppo tempo.
Lo scavo all’interno dell’animo di un uomo fa vibrare tutto ciò che lo circonda in una struttura di sintesi estrema. La sua fine bellezza stilistica è essenza narrativa, ogni contorno ed elemento è pittoricismo paratestuale. Qualsiasi dettaglio è funzione di una trama di rispondenze tra immagini, atteggiamenti, legami e soprattutto silenzi. In un punta di piedi, House of Five Leaves parla di un dramma umano, come sempre ce ne sono stati e ce ne saranno, mai raccontanti, abbandonati come una foglia d’acero accanto a una mano ritratta, cicatrici dietro il sorriso di qualcuno scomparso con la sua vita e per l’eternità ignoto.
p.s. strano, piuttosto cortina per Limbes, non me l'aspettavo D:, anche se non certa povera di contenuti.
Ma io sto ancora aspettando una tua recensione su Evangelion o sul The End (che temo non vedrò mai XD)
scherzi a parte, questo è il genere che più prediligo per gli anime: maturi, introspettivi, abbastanza drammatici (adoro anche altri generi, ma questo sugli scudi).
l'art mi sembra di tutto rilievo, molto intrigante, lo vedrò di sicuro!
<i>Mi piacerebbe vedere una tua recensione che so, di Queen's Blade o di qualcosa del genere, magari per il primo aprile. Ci sarebbe da ridere! </i>
Mi associo
Senz'altro un interessante anime che finisce dritto dritto nella lista.
Complimenti Limbes! Sei un punto di riferimento per noi aspiranti critici...
Solo mi sfugge la connesssione tra "netiquette" e il periodo Edo...Illuminami!
io come sempre parto dalla trama e devi dire che non è che mi gustava troppo, ma la recensione cavolo mi ha proprio convinto ._. lo metto in lista
plauso come sempre a Limbes per l'ottimo lavoro; le parole netiquette (chiedo scusa ma anch'io non riesco a capire cosa c'entri) e paratesto non le avevo mai sentite!
Spero di avere dissipato i dubbi sorti sull'uso del termine.
The Tatami Galaxy, Panty & Stocking e Rainbow mi sembrano tutt'altro che cacca.
Anzi i primi due sono quasi dei capolavori.
Non l'avevo mai sentito nominare quest'anime.
The Tatami Galaxy, Panty & Stocking e Rainbow mi sembrano tutt'altro che cacca.
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Tatami è un capolavoro,punto
sei stato ancora più conciso ed efficace del solito.
<i>disegnati in questo modo i personaggi mi ricordano gli zombi dei film di George A. Romero.</i>
Beh, di sicuro lo stile di disegno è particolare. Ma a me piace molto e sembra che in questo caso si tratti di una scelta per raffigurare visivamente il "carattere" dei personaggi.
p.s.
Gran bella recensione
Il disegno comunque mi pare si limiti a ricalcare abbastanza fedelmente quello, estremamente particolare, dell'autrice del manga. Scelta condivisibile, sebbene preferisca la "normalizzazione" effettuata con l'anime di Ristorante Paradiso.
La prima differenza che salta all'occhio sono i disegni, con uno stile molto particolare.
Dalle poche immagini inserite posso dedurre che ci abbia lavorato un'ottima regia, visto il gioco di luci molto accurato e i diversi spezzoni visibili.
Credo proprio che sia il prossimo anime che metterò in lista tra quelli da vedere, essendo io un appassionato di questi generi che al giorno d'oggi scarseggiano. Ottima recensione, che invoglia ancora di più il lettore alla visione.
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