È notizia recente l'arrivo in streaming su Netflix dei film dello Studio Ghibli, l'apprezzato studio d'animazione fondato da Hayao Miyazaki e Isao Takahata e diventato col tempo uno dei fiori all'occhiello dell'industria animata giapponese. Ma se per più di una generazione di appassionati i film di Miyazaki e Takahata sono ormai classici intramontabili, da vedere e rivedere, ci siamo resi conto col recente annuncio di quanti siano gli spettatori, specialmente tra i più giovani, che ancora non hanno avuto occasione di vedere uno o più di questi titoli.
Abbiamo quindi deciso di portarvi una panoramica di alcuni dei titoli più famosi e apprezzati dello studio in concomitanza alla graduale distribuzione dei film su Netflix. Iniziamo la seconda tranche col primo (e al momento unico) film giapponese a vincere l'oscar come miglior film animato.
Le opere di Hayao Miyazaki sono sempre state concepite per un pubblico universale, per età e per cultura, con un particolare riguardo per i giovani spettatori, che nei protagonisti possono riconoscersi e vivere nei loro panni straordinarie avventure in mondi fantastici, che funzionano come illuminanti e istruttive metafore. La città incantata ne è un brillante esempio.
Considerato da molti il capolavoro di Miyazaki, ne è forse il film più ambizioso con i suoi 1.900.000.000 yen messi a disposizione dallo Studio Ghibli e un contratto di distribuzione internazionale con il colosso hollywoodiano Disney-Buena Vista. Un investimento che ha portato la pellicola a fare incetta di premi in giro per il globo alla sua uscita nel 2001. Fra i molti riconoscimenti possiamo ricordare l'Oscar come miglior film d'animazione (il primo della storia assegnato a un anime), l'Orso d'oro a Berlino, quattro Annie Awards e il Leone d'Oro alla carriera per Miyazaki ricevuto alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2005.
Chihiro è una ragazzina pigra e svogliata. Il trasferimento con i suoi genitori in una nuova città non la esalta e, allorquando l'intera famigliola si smarrisce con l'auto in un boschetto alla fine di un sentiero sterrato, la piccola si ritrova catapultata e intrappolata in un misterioso mondo incantato inaccessibile agli umani: si tratta di un complesso termale destinato a rinfrancare gli spiriti e le divinità della natura logorate e stressate dalla frenesia materialistica del mondo moderno. Una volta all'interno di questo luogo magico, Chihiro dovrà ingegnarsi per liberare i suoi genitori da un incantesimo che li ha tramutati in maiali e, come una moderna Alice, inizierà una mirabolante avventura in cui il suo carattere debole e indolente verrà messo a dura prova. Non le resterà che rimboccarsi le maniche e cominciare il lungo e faticoso cammino verso la maturità.
Liberamente tratto dal romanzo Il meraviglioso paese oltre la nebbia della scrittrice Kashiwaba Sachiko, l'anime unisce il racconto di formazione a una fantasmagoria che attinge direttamente alla fonte dell'antica tradizione folkloristica del Sol Levante (con particolare riferimento alla mitologia scintoista e alle credenze sui kami' e sugli yōkai') in una suggestiva favola sulla semplicità d'animo e sulla forza dell'altruismo.
Chihiro, oltre ai problemi pratici di tutti i giorni che risolve con sorprendente spirito di sacrificio, deve affrontare nuovi sentimenti come la solitudine, l'indifferenza, e l'amore. Così, passo dopo passo, riesce a superare tutte le prove che le si presentano, anche la temporanea perdita della sua identità, grazie alla sua forza interiore e all'aiuto delle brave persone che incontra nel corso della sua avventura. Si prefigura così, tra momenti di grande poesia e passaggi di incontenibile forza immaginifica, una potente metafora del passaggio della protagonista in una fase della vita più complessa e problematica: l'adolescenza.
Nelle storie di Miyazaki la figura del protagonista è spesso affidata a una ragazza affiancata da un coetaneo dell'altro sesso, formando delle coppie perfette e indivisibili (Conan e Lana, Pazu e Sheeta, Ashitaka e San) che vivono un rapporto preadolescenziale. Questa volta l'autore trascende la sua stessa formula e il legame che si crea tra Chihiro e Haku, che si rivelerà essere lo spirito di un fiume (Kohaku), sottolinea il rapporto indissolubile tra esseri umani ed entità naturali nella sua personale visione ecologista del mondo.
Come in molte opere del maestro, non ci sono dei veri e propri cattivi, ma ci viene presentata una variegata galleria di personaggi che grondano umanità, tutti minuziosamente sfumati, fra cui emergono caratteri e personalità più complesse e sfaccettate. E' il caso delle due arzille vecchiette di turno, Yubaba e Zeniba: in questi due straordinari personaggi si può riconoscere un altro indovinato ammiccamento al classico della letteratura di Louis Carroll, Alice's adventures in wonderland, in particolare ai ruoli della Regina di cuori e della Duchessa.
La figura dell'anziano è onnipresente nella filmografia del regista di Akebono, che arriverà a basare un intero film a questa età della vita, Il castello errante di Howl, 2004, sovvertendo le più classiche regole del fantasy.
Nell'intera opera di Miyazaki il vecchio saggio rappresenta un punto di riferimento, ma anche un elemento destabilizzante perché, avendo già vissuto l'età adulta, è tornato a una condizione assimilabile a quella dell'infanzia, e si crea puntualmente un forte legame con il bambino, quasi un ponte esistenziale tra passato e futuro che gli adulti devono percorrere alla ricerca di una sorta equilibrio ciclico dell'esistenza.
Oltre alla terza età e ai giovani, ritornano altri due leitmotiv del regista: la magia del volo ci viene riproposta in una suggestiva sequenza a bordo nientemeno che di un enorme drago bianco; mentre l'immagine del maiale (questa volta nella sua accezione più negativa) evidenzia l'ottusa indifferenza degli adulti di fronte alle istanze e ai bisogni dei fanciulli.
Al pari delle sue potenti streghe il tocco del genio affabulatore di Miyazaki si rivela deciso e sicuro di sé rivelando una vulcanica e inesauribile vena creativa: i suoi acrobatici funambolismi di scena e le sue creature fantastiche risultano particolarmente ispirati e sembrano animarsi come per magia godendo di vita propria sullo schermo.
Estremamente curato nella realizzazione tecnica e artistica, entro se non oltre i già elevatissimi standard dello Studio Ghibli, il film offre raffinati disegni sia nei fondali minuziosamente dettagliati e sia nelle superbe animazioni: da ricordare le scenografie sfarzose e opulente delle stanze di Yubaba, che descrivono le meraviglie di uno stile 'esotico' all'occidentale.
Joe Hisaishi, da sempre compagno di avventura di Miyazaki (ma anche di "Beat" Takeshi Kitano), si conferma come uno dei più dotati compositori giapponesi di colonne sonore per il cinema. Le sue musiche in questo frangente sono strepitose ed elevano oltremodo l'atmosfera rarefatta del film arricchendolo con sonorità di stampo squisitamente etnico e un maestoso arrangiamento orchestrale. Da ricordare le dolcissime e commoventi ballate pianistiche The name of life e One summer's day.
Abbiamo quindi deciso di portarvi una panoramica di alcuni dei titoli più famosi e apprezzati dello studio in concomitanza alla graduale distribuzione dei film su Netflix. Iniziamo la seconda tranche col primo (e al momento unico) film giapponese a vincere l'oscar come miglior film animato.
Le opere di Hayao Miyazaki sono sempre state concepite per un pubblico universale, per età e per cultura, con un particolare riguardo per i giovani spettatori, che nei protagonisti possono riconoscersi e vivere nei loro panni straordinarie avventure in mondi fantastici, che funzionano come illuminanti e istruttive metafore. La città incantata ne è un brillante esempio.
Considerato da molti il capolavoro di Miyazaki, ne è forse il film più ambizioso con i suoi 1.900.000.000 yen messi a disposizione dallo Studio Ghibli e un contratto di distribuzione internazionale con il colosso hollywoodiano Disney-Buena Vista. Un investimento che ha portato la pellicola a fare incetta di premi in giro per il globo alla sua uscita nel 2001. Fra i molti riconoscimenti possiamo ricordare l'Oscar come miglior film d'animazione (il primo della storia assegnato a un anime), l'Orso d'oro a Berlino, quattro Annie Awards e il Leone d'Oro alla carriera per Miyazaki ricevuto alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2005.
Chihiro è una ragazzina pigra e svogliata. Il trasferimento con i suoi genitori in una nuova città non la esalta e, allorquando l'intera famigliola si smarrisce con l'auto in un boschetto alla fine di un sentiero sterrato, la piccola si ritrova catapultata e intrappolata in un misterioso mondo incantato inaccessibile agli umani: si tratta di un complesso termale destinato a rinfrancare gli spiriti e le divinità della natura logorate e stressate dalla frenesia materialistica del mondo moderno. Una volta all'interno di questo luogo magico, Chihiro dovrà ingegnarsi per liberare i suoi genitori da un incantesimo che li ha tramutati in maiali e, come una moderna Alice, inizierà una mirabolante avventura in cui il suo carattere debole e indolente verrà messo a dura prova. Non le resterà che rimboccarsi le maniche e cominciare il lungo e faticoso cammino verso la maturità.
Liberamente tratto dal romanzo Il meraviglioso paese oltre la nebbia della scrittrice Kashiwaba Sachiko, l'anime unisce il racconto di formazione a una fantasmagoria che attinge direttamente alla fonte dell'antica tradizione folkloristica del Sol Levante (con particolare riferimento alla mitologia scintoista e alle credenze sui kami' e sugli yōkai') in una suggestiva favola sulla semplicità d'animo e sulla forza dell'altruismo.
Chihiro, oltre ai problemi pratici di tutti i giorni che risolve con sorprendente spirito di sacrificio, deve affrontare nuovi sentimenti come la solitudine, l'indifferenza, e l'amore. Così, passo dopo passo, riesce a superare tutte le prove che le si presentano, anche la temporanea perdita della sua identità, grazie alla sua forza interiore e all'aiuto delle brave persone che incontra nel corso della sua avventura. Si prefigura così, tra momenti di grande poesia e passaggi di incontenibile forza immaginifica, una potente metafora del passaggio della protagonista in una fase della vita più complessa e problematica: l'adolescenza.
Nelle storie di Miyazaki la figura del protagonista è spesso affidata a una ragazza affiancata da un coetaneo dell'altro sesso, formando delle coppie perfette e indivisibili (Conan e Lana, Pazu e Sheeta, Ashitaka e San) che vivono un rapporto preadolescenziale. Questa volta l'autore trascende la sua stessa formula e il legame che si crea tra Chihiro e Haku, che si rivelerà essere lo spirito di un fiume (Kohaku), sottolinea il rapporto indissolubile tra esseri umani ed entità naturali nella sua personale visione ecologista del mondo.
Come in molte opere del maestro, non ci sono dei veri e propri cattivi, ma ci viene presentata una variegata galleria di personaggi che grondano umanità, tutti minuziosamente sfumati, fra cui emergono caratteri e personalità più complesse e sfaccettate. E' il caso delle due arzille vecchiette di turno, Yubaba e Zeniba: in questi due straordinari personaggi si può riconoscere un altro indovinato ammiccamento al classico della letteratura di Louis Carroll, Alice's adventures in wonderland, in particolare ai ruoli della Regina di cuori e della Duchessa.
La figura dell'anziano è onnipresente nella filmografia del regista di Akebono, che arriverà a basare un intero film a questa età della vita, Il castello errante di Howl, 2004, sovvertendo le più classiche regole del fantasy.
Nell'intera opera di Miyazaki il vecchio saggio rappresenta un punto di riferimento, ma anche un elemento destabilizzante perché, avendo già vissuto l'età adulta, è tornato a una condizione assimilabile a quella dell'infanzia, e si crea puntualmente un forte legame con il bambino, quasi un ponte esistenziale tra passato e futuro che gli adulti devono percorrere alla ricerca di una sorta equilibrio ciclico dell'esistenza.
Oltre alla terza età e ai giovani, ritornano altri due leitmotiv del regista: la magia del volo ci viene riproposta in una suggestiva sequenza a bordo nientemeno che di un enorme drago bianco; mentre l'immagine del maiale (questa volta nella sua accezione più negativa) evidenzia l'ottusa indifferenza degli adulti di fronte alle istanze e ai bisogni dei fanciulli.
Al pari delle sue potenti streghe il tocco del genio affabulatore di Miyazaki si rivela deciso e sicuro di sé rivelando una vulcanica e inesauribile vena creativa: i suoi acrobatici funambolismi di scena e le sue creature fantastiche risultano particolarmente ispirati e sembrano animarsi come per magia godendo di vita propria sullo schermo.
Estremamente curato nella realizzazione tecnica e artistica, entro se non oltre i già elevatissimi standard dello Studio Ghibli, il film offre raffinati disegni sia nei fondali minuziosamente dettagliati e sia nelle superbe animazioni: da ricordare le scenografie sfarzose e opulente delle stanze di Yubaba, che descrivono le meraviglie di uno stile 'esotico' all'occidentale.
Joe Hisaishi, da sempre compagno di avventura di Miyazaki (ma anche di "Beat" Takeshi Kitano), si conferma come uno dei più dotati compositori giapponesi di colonne sonore per il cinema. Le sue musiche in questo frangente sono strepitose ed elevano oltremodo l'atmosfera rarefatta del film arricchendolo con sonorità di stampo squisitamente etnico e un maestoso arrangiamento orchestrale. Da ricordare le dolcissime e commoventi ballate pianistiche The name of life e One summer's day.
L'impegno ecologista, la passione per il volo, l'attenzione all'infanzia, i ritratti di eroine, l'etica del lavoro, la spiritualità scintoista, le favolose invenzioni e la perfezione tecnica con cui le realizza, sono tutti elementi che fanno di Hayao Miyazaki un patrimonio della storia del cinema e Sen to Chihiro no kamikakushi lo celebra in tutto il mondo come maestro indiscusso dell'animazione di tutti i tempi.
Akira Kurosawa diceva di lui: "Talvolta lo paragonano a me. Mi dispiace per lui perché lo abbassano di livello."
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Buongiorno a lei, e grazie per l'interesse.
Il tema sollevato mi è stato proposto varie volte, non è peregrino, ma tutt'altro che semplice - almeno per me.
A tutti gli effetti, di per me ritengo innanzitutto che sia impossibile pensare di avere una "idea generale" di come una data opera viene recepita da un dato pubblico, per di più straniero. Quando francamente persino sull'uso di una parola, di un costrutto italiano, ho visto ascoltato miei connazionali proporre visioni diversissime (da "non lo dice nessuno, non è italiano!" a "è molto comunque, lo dicono spesso"), come si può pensare di raccogliere un idea generale su una cosa soggettiva e complessa come la ricezione di un film, di un linguaggio usato, e per di più a distanza?
Io credo non si possa. Il che non vuol dire che non tenti di farlo in casi specifici (ne ho citati svariati, come alcuni episodi accaduti a me, o visibili nei filmati di "dietro le quinte"), o generali, affidandosi a testimonianze in lingua, o a consulenti madrelingua. Ma anche così non si avrà mai una "base statistica significativa sul totale", si capisce.
Per di più, e questo è un'argomento che mi sta a cuore, personalmente credo sia ingiusto pensare che nel traslare un'opera da una lingua, una cultura, un "mondo" di provenienza al nostro si debba anche solo ambire, o auspicare, di ottenere un senso di "pari naturalezza di fruizione". Questo perché un'opera straniera resta di matrice straniera anche quando localizzata nella nostra lingua, e credo così sia giusto che resti percepibile. E' una questione di cognizione, forse, dello stare fruendo un'opera straniera. Una coscienza che non credo sia proficuo obnubilare.
EDIT: almeno qui da me c'è stato un cambio pagina. Alla fine della precedente si trova la mia risposta a un messaggio di panapp che era *precedente* al sensato messaggio di Ironic74, subito dopo il quale c'è comunque un messaggio di chiusura sempre di panapp che al rapido scorcio mi è parso a me molto direttamente rivolto, ma a cui devo ancora dare approfondita lettura ed eventualmente (se inevitabile) risposta. Chiedo scusa per il "lag" dovuto alla mia ormai modesta presenza online.
Salve di nuovo.
Rispondo puntualmente.
Senza neppure scomodare questioni di "maggiore aderenza all'originale", le alternative che proponi hanno significati veramente, profondamente diversi dalle frasi da me usate nei dialoghi.
Vado ad elaborare individualmente:
- "Poiché è pericoloso, vogliate arretrare sin dietro la linea bianca"
- "Per la vostra sicurezza si prega di rimanere dietro la linea bianca."
1) La frase è un frammento, l'annuncio precedentemente diceva che c'è un treno in arrivo. Quindi la causale "poiché è pericoloso" si lega a quello, ad ha un valore fattuale molto diverso dalla finale di raccomandazione "per ls vostra sicurezza".
2) nella versione che proponi, si presume che gli ascoltatori dell'annuncio si trovino già dietro la linea bianca, dovendoci rimanere, ma la raccomandazione è proprio per coloro che non vi si trovassero (dietro la linea bianca), ai quali si chiede di indietreggiare (fin dietro la linea)
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- "A quel tempo, io, tutto preso dal trasformismo, che il mio amico d'infanzia avrebbe voluto una vita da comunissimo tanuki, non l'avrei mai pensato"
-"A quel tempo ero cosí preso dal trasformismo che non avrei mai pensato che il mio amico d'infanzia avrebbe voluto una vita da semplice tanuki."
In questa "voce pensiero narrativa", il tanuki "intellettuale" Shoukichi parla della differenza tra lui e il suo amico d'infanzia Ponkichi, un tanuki sempliciotto. Nella tua versione, se vedi bene, il fatto che Shoukichi (il parlante) fosse "cosí preso dal trasformismo" diventa la causa del suo "non aver pensato" che invece il suo amico d'infanzia (Ponkichi) "avrebbe voluto una vita da semplice tanuki"
Ma così non è. Se leggi la frase effettiva, Shoukichi sta semplicemente rimarcando che, mentre lui era tutto preso dal trasformismo, una cosa "speciale", una riscoperta epocale per i tanuki, il suo amico Ponkichi avrebbe voluto una vita da semplice tanuki, e nel soppesare a posteriori questa differenza tra loro, Shoukichi ammette che nel momento dei fatti narrati "non l'avrebbe mai pensato", come a dire "non mi ero reso conto della profonda differenza tra noi" - il che cozza col fatto che fossero "amici di infanzia".
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- "A dire a quel modo, se poi verrai spazzata via dalle bombe non vorrò saperne!"
- "Se dici cosí non mi preoccuperó se poi verrai spazzata via dalle bombe."
Qui innanzitutto ti ringrazio per aver pietosamente utilizzato la mia versione autocorretta, sei molto gentile.
La parte iniziale, "A dire a quel modo" e "Se dici così" mi pare tutto sommato compatibile.
Nel seguito, direi che il "non vorrò saperne" non sia equivalente di "non mi preoccuperò". Nel fare la sua piccola minaccia retorica, Seita propone a Setsuko uno scenario a posteriori di un'ipotetica tragedia: "se così morirai, a me non me ne importerà niente!" - per capirci. Al contrario,una cosa come il "preoccuparsi" chiaramente non potrebbe riferirsi all'ipotetica situazione a posteriori.
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Spero che le differenze che ho evidenziato ti siano chiare, ma soprattutto sensibili. Ai miei occhi e alla mia mente non sono neanche sottigliezze, sono divergenze di significato molto grandi. Senza dubbio anche la sensibilità delle persone varia da soggetto a soggetto, ma io credo (credo) che il significato delle frasi sia in effetti più preciso e ricco di precise sfumature di quello che talvolta mi si critica pensando che "si sarebbe potuto dire anche così". Soprattutto nel primo caso, a me pare che invece di attenerti al significato preciso di un testo tu l'abbia riscritto, o meglio reinventato "a modo tuo", come pensando "in quella situazione, in Italia si sentirebbe un annuncio così". E questo è forse il punto fondante della mia logica di lavoro: io non desidero che un'opera giapponese suoni "come se fosse" in italiana. Io desidero trasporla in italiano per quello che dice in quanto giapponese.
Quello è maiuscolo, non maiuscoletto, sono due cose diverse.
Per l'ennesima volta: per favore la smetta una volta per tutte di usare parole a casaccio perché a lei piace così. Non siamo a casa sua, non siamo fra amici, non siamo su una chat privata: siamo in pubblico.
E il messaggio di avviso in una stazione è linguaggio familiare?
Di nuovo: per favore smetta di usare «inteso» o espressioni simili. Cos'è il «"significato" inteso di una battuta», la sua interpretazione personale?
Il significato di una battuta può essere travisato se si usa uno stile inadatto, e nel caso dei messaggi di avviso alla stazione sia in giapponese sia in italiano si usa uso stile asciutto e impersonale, altro che pleonasmi.
Basta, mi arrendo, è inutile.
Di nuovo, le chiedo per favore e con la massima gentilezza: la smetta di prendere in giro il lettore. Lei dovrebbe sapere benissimo che per metonimia e per prosopopea è possibile attribuire caratteristiche umane agli oggetti/concetti, e anche senza scomodare la poesia e la letteratura si usa spessissimo nel linguaggio di tutti i giorni come pure in quello giornalistico.
Le pare logico mettere un termine letterario che (secondo lei e solo secondo lei) è connesso alla cultura e letteratura classica giapponese in bocca a montagnoli analfabeti fuori dal mondo completamente ignari della cultura e della letteratura classica giapponese. Logicissimo.
In ogni caso, nell'articolo 2 è smontata con abbondanza di prove letterarie, artistiche, storiche, scientifiche e mediche tutta la sua interpretazione del popolo Emishi. Se ha voglia di leggerlo bene, se non vuole informarsi è una scelta sua, ma sappia solo questo: la sua interpretazione è del tutto fallata. Argomento chiuso, non ho intenzione di tornarci.
No, guardi, io voglio leggere la frase "Chiedo scusa per aver diffuso informazioni false, definendo come certezze quelle che invece erano solo mie ipotesi".
Eppure lei ha scritto:
I grassetti sono suoi originali. "Ci si chiede come sia possibile che", l'ha scritto lei. È un'interrogativa indiretta, impersonale e temo retorica, ma è pur sempre una domanda.
A quella davo seguito facendole notare che lei non mi ha chiesto niente.
Io non ho un'avversione a Internet, ho semplicemente disprezzato il modo di documentazione da lei utilizzato per il testo che ha prodotto nel caso del suo primo articolo intitolato a mio nome. Al contrario, in questi 25 anni circa mi sono spesso dato a discutere direttamente con il pubblico in tante occasioni, come mi viene in genere riconosciuto.
Il fatto che lei dica di aver consultato fonti "di tutti i tipi", infatti, non le ha evitato di scrivere un articolo sulla mia storia professionale (ancora: il primo) senza saperne realmente nulla, semplicemente perché le fonti a lei accessibili sul merito, non essendo lei stato parte della mia vita professionale, non sono che miseri frammenti.
Unendo perniciosamente quei puntini lei ha tratto una mia "storia professionale" che seppur lacunosa appare ai miei occhi proposta con una pretesa di esaustività, e presentata con una retorica allusiva e insinuante (ancora: come appare ai miei occhi).
In più mi pare più che obiettivamente evidente, come lo è stato a tanti, che lei ha anche deliberatamente taciuto qualche dato (non fonte) che era persino alla sua disponibilità, ovvero a quella di tutti, e cioè che quando arrivai ad occuparmi di Howl no Ugoku Shiro mi ero già occupato non di uno, non di due (pubblicati), ma di ben due più quattro (inediti) ovvero in totale sei doppiaggi di film Ghibli.
A tutti gli effetti, tacendo ed enfatizzando deliberatamente una fonte o l'altra, lei crea una sua narrazione tanto quanto ogni regista (specie d'animazione) fa con la sua sceneggiatura. Ma la spaccia per verità obiettiva, aggrappandosi alla mera "presenza" di fonti, e derogando a quelle la responsabilità umana che sta invece in chi le raccoglie, le ordina, le presenta in un dato modo a dimostrazione di una data tesi preconcetta.
Pertanto e inoltre:
...ancora omettendo, nella sua ricostruzione, di "ricordare" (se non in una citazione non sua), tutto il lavoro svolto in anni sui film Ghibli per una major come Buena Vista, in primis, e...
In primis lei si contraddice: diceva che (rispetto al mio coinvolgemento con Lucky Red) "Cosa è successo prima o dopo non lo reputo né più né meno interessante: lo reputo fuori tema."
...ma poi si riferisce ai miei 21 anni, e quindi al mio primo lavoro su Evangelion, giusto?
Quindi un "prima" c'è, salvo che poi lei fa un salto fino al mio "arrivo" in Lucky Red, ma "dimentica" di ricordare che in quel momento io ero già diventato, obiettivamente, il professionista con la maggiore esperienza sullo specifico dei film dello Studio Ghibli (sei lavorazioni pregresse), oltre che – com'è altresì pubblico – un'esperienza già quasi decennale col doppiaggio dell'animazione giapponese, e un curriculum specifico già molto vasto. Tra una cosa e l'altra nulla di magico, dunque. Lavori, esperienza, curriculum.
Inoltre, ribadisco;
Il che è falso, poiché mestieri come "adattatore dialoghista" e "direttore di doppiaggio" non richiedono, e non conoscono se non forse da poco, titoli di formazione specifici. Magari non lo sa, ma nella realtà così è. Gli unici "titoli professionali" realmente efficaci del campo sono quelli esperienziali, curricolari. E io quando fui contattato da Lucky Red ne avevo già molti, anche molto specifici, in entrambi i ruoli richiesti e più, maturati con varie apprezzate aziende di doppiaggio e stimatissimi colleghi più anziani.
Nonostante tutto questo, lei che non mi pare abbia esperienza alcuna nel mio specifico settore professionale (doppiaggio), con grande sicumera sentenzia della mia presunta mancanza di titoli professionali, e poi ancora di "inadeguatezza professionale di Cannarsi", palesemente ergendosi quale sedicente esperto di un settore professionale che non mi pare le sia proprio. Anche derogare la responsabilità a "fonti obiettive", che ovviamente come stralci e dati raccolti e presentati in maniera discriminata non sono mai e affatto obiettivi, lei non diminuisce di una virgola la sua responsabilità autoriale degli scritti, il cui contenuto ultimo, le cui tesi, risultano solo "citazionisticamene" e "sparutamente" supportate da dati raccattati in giro sulla rete.
Lei ha anche scritto:
Qui lei sta, senza conoscenza specifica di un mestiere, non solo speculando ancora su quale bagaglio di competenze si richieda per lavorare in un ambiente in cui non ha esperienza, non solo usando toni e termini del tutto ingiustificati nella loro perentorietà stante la sua inesperienza nell'ambito, ma altresì attribuendomi la cura della "traduzione" dei film in questione, cosa che è puramente falsa, come comprovato da tutti i crediti degli stessi, e questo di nuovo con buona pace della sua abbondante e referenziata documentazione. Anche il link per il presunto bagaglio di comprtenze necessarie rimanda a un articolo sulla traduzione, e non sull'adattamento cinetelevisivo, mi pare.
Dunque in toto lei sta, letteralmente, sparlando. Di me, delle mir esperienze, delle mie competenze e del mio lavoro. Sparlando, non "parlando". Fingendo che le sue ciarle siano documentate, quando non lo sono e soprattutto sono raccolte da una persona (lei) che ha scarsa esperienza reale e quindi compentezapersino per interpretarle. Nondimeno, presenta tesi e giudizi perentori e proposti come assoluti (frasi quali: "il lavoro di Cannarsi è pessimo", con enfasi posta sulla presunta obiettività di un *giudizio di valore*).
Questo è secondo me un fatto gravissimo, molto infamante e diffamatorio (vista soprattutto la sistematicità e serietà di diffusione dello stesso) che inevitabilmente vizia la lettura di tutto il seguito.
Un seguito dove lei continua a imputare a me di fare essenzialmente qualcosa di simile sulle mie scelte d'adattamento, quando lei palesemente lo fa nell'ergersi a critico del mio operato professionale, del mio storico professionale, sempre e solo riferendosi agli sparuti casi da lei selezionati e capziosamente discussi, e omettendo quanto ha ritenuto di omettere, oltre alla massa di informazioni di cui non può chiaramente disporre.
Non è vero che tutti i seguenti articoli non parlino d'altro che dei copioni.
In particolare, il secondo muove da una trascrizione di una mia audiointervista, e a più e più riprese si sofferma piuttosto a parlare delle mie presunte tecniche espositive e argomentative, che lei definisce ripetutamente "da piazzista". In questo lei non parla dei miei copioni, ma parla del mio modo di esprimermi, e così di me.
Ho letto la parte che lei dicevs essere piena di complimenti a me rivolti. Non negherò che esprima degli apprezzamenti positivi al mio riguardo, ma al tempo stesso mi pare che compartimentando quelli al mio coinvolgimento sentimentale, passionale con le opere lei enfatizzi l'idea di una mia incompetenza professionale, cosa a volte accompagnata da quella che mi sembra un anche grossolano sarcasmo. Ancora una volta,mentre nella critica negativa in merito a Mononoke lei cita e discute casi particolari che ritiene sballati, tace di tutto un "resto", e di tutto il merito di Chihiro e Sen (non dico il titolo), dove – come dicevo nell'intervista – il primo doppiaggio trasformava un "no" in un"sì", letteralmente. Non intendo commettere il suo stesso errore, e quindi non citerò una manciata di punti precisi, tuttavia come dicevo per omissioni e allusioni, unite ad epiteti assai denigratori, una sensazione di diffusa e insinuante malafede del suo argomentare purtroppo mi resta.
Pertanto, non ho composto un corposo e approfondito giudizio sul suo lungo lavoro, perché – per le ragioni che ho sin qui espresso – a seguito della lettura del primo articolo, "l'introduzione", non l'ho ritenuto in effetti meritevole di approfondimenta replica. Capita che leggendo un'introduzione che si trova pessima non si voglia proseguire nella lettura del libro.
Pet quanto sopra illustrato, la metodologia da lei usata nel suo primo articolo, che a dispetto del suo negazionistico minimizzare è dedicato al mio proprio storico professionale, mi appare del tutto disprezzabile. Il tono e il modo d'argomentazione da lei usati nello stesso articolo mi paiono spregevoli. Queste sono le mie sensazioni, le mie impressioni sul suo scritto, di cui lei avrà pur tutto il diritto di essere persino orgoglioso o fiero, e di cui sono certo molti saranno accalorati sostenitori. Ma questo non cambia la mia impressione.
Allo stesso modo, anche negli articoli 2 e 3 ci sono, inevitabilmente, buchi sul merito (il mio metodo), esempi di casi singoli estese surretizismente a canone generale, e una sconsiderata lettura "fissa nel tempo" di miei modi di lavoro.
Tutte queste cose o sono ingenue, o non lo sono e quindi (nel caso in cui non lo fossero) sarebbero tendenziose. Propendendo per la prima ipotesi, io ancora mi rammarico che lei, avendo svolto una tal mole di lavoro, non abbia consultato la fonte primaria: me medesimo.
L'idea di non essere influenzato mi pare una sciocchezza, avrebbe anzi potuto scoprire i motivi, i dettagli, e anche molti ripensamenti a posteriori di tante cose che lei cita (cond molti titoli). Avremmo potuto discuterne, in senso positivo. Il fatto che lei abbia scansato questa possibilità non può farmi che leggere la sua intera opera a me intitolata come un mirato tentativo di arrecarmi discredito professionale.
Dunque in ragione di ciò non è stata mia intenzione, e non lo sarebbe tuttora, di riconoscere i suoi scritti intitolati a mio nome meritevoli di puntuale controargomentazione, signor Pasqualini. E parimenti non credo gli rivolgerò nulla di più corposo di repliche sparse come queste, dove pure credo di avere messo in luce per tutti i lettori le terribili carenze strutturali degli stessi, nonché la loro malevolenza, per di più quando introdotti da un discailmer che recita testualmente:
Ma questo disclaimer si trova anche in testa al primo articolo, che come visto e dimostrato parla *di fatto* non del mio "lavoro di adattamento", ma del mio storico professionale e personale (come sono arrivato qui o li), in modo del tutto allusivo, malizioso e spregiativo.
Tant'è che in chiosa allo stesso, oltre a sentenziare sulla mia presunta "inadeguatezza professionale", lei mi definisce anche "una persona che palesemente non ha la minima cultura", cosa che mi pare proprio un giudizio offensivo sul personale, neppure professionale. L'aveva forse dimenticato, quando si trincerava dietro messaggi in cui dice di non avere parlato personalmente di me?
E sì che più avanti proprio lei mi diceva di hon'ne e tatemae...!
In effetti, forse potrei almeno raccogliere questi palesi argomenti generali in una snella lettera aperta di risposta pubblica ai suoi scritti in generale, che vari amici e colleghi mi suggerivano di rilasciare.
Guardi, io scrivevo "Comprendo che..." nel senso "quello che io capisco (dai suoi scritti) è..,", e non intendevo nulla di presuntivo nel senso di "io so che...".
Certamente io di lei non so praticamente nulla, e non ho condotto meticolose ricerche sul suo storico professionale, dichiarazioni, messaggi, interviste. Avevo inteso solo che lei svolgesse lo stesso interessante mestiere che faceva il da me stimatissimo Miyazaki Gorou prima di seguire le orme di Takahata Isao. Oltre a questo, diversi amici mi hanno inviato, come le dicevo, frammenti di sue esternazioni a mio carico che sembrano davvero poco carine, ma non intendo giudicarla per quelle. E non dico qui in questa discussione, dico in mia coscienza. Perché so bene sia quanto male fa la decontestualizzazione dei frammenti alla "lettura" di una persona, sia che quello che si esterna magari in contesti particolari non è rappresentativo del profondo e del vero di un individuo.
Tuttavia, mi chiedo che senso abbia intimarmi perentoriamente di non permettermi di scrivere quale sia il mio intendimento di lettura del suo scrivere. Lei, come giustamente riporta nel suo disclaimer, scrive di personali opinioni. Le sue personali opinioni, da lei proposte come tali, includono ad esempio la mia presunta "inadeguatezza professionale" e le ricordo ancora l'epitetarmi come "una persona che palesemente non ha la minima cultura" (che è sempre un giudizio sulla persona, appunto).
Allo stesso modo, io avrò delle opinioni sul suo scritto, sul modo in cui è scritto, sulla competenza di chi l'ha scritto (lei), e per esempio gliene ho proposte poc'anzi. Oltre a ciò, leggendo quello che lei ha scritto, fin dove l'ho letto e poi nello scambio qui, è mia sensazione, cioé onesta opinione che "in generale il mio modo di lavorare, e i suoi risultati, proprio non le piacciono". Questa è l'impressione che mi ha dato la lettura del suo scrivere, che lei ha pubblicato, e il risultato è una mia personale opinione sul gradimento dei miei lavori da parte dell'autore della critica a quelli. D'altro canto lei ha usato espressioni chiare, che evito di citare per un'ennesima volta, e come ogni essere umano ho personalmente tratto un'impressione che emana dalla totalità di quanto ho letto, contenuto e forma, non solo fonti. Non capisca quindi cosa la infastidisca tanto al punto di dover temere di sembrare arrogante e maleducato, e io aggiungerei soprattutto affettato e aggressivo.
Questo è un consiglio che raccolgo molto onestamente. Ogni tanto mi capita di rileggermi a posteriori, e a distanza di qualche mese mi trovo estremamente fastidioso, irritante. Soprattutto sgradevole. A volte mi rileggo e penso che le persone che riescono a carpire il buono dei miei discorsi siano straordinarie, davvero. Sicuramente molto migliori di me. E così non riesco a biasimare chi invece dovesse detestarmi.
Dovrei più spesso curarmi, io per primo, del rischio di apparire arrogante, maleducato, aggressivo e quanto di peggio ancora (ma almeno non affettato, spero). Credo che su questo lei abbia ragione, e per questo la ringrazio del consiglio, che mi pare sincero. E le giuro (glielo giuro) che non la sto prendendo in giro. Anzi, le dico sinceramente che è anche facendo questa onesta autocritica che penso di non doverla giudicare per quello che, da lei scritto chissà dove, mi è stato mostrato.
Mi scusi (sul serio), non intendevo indulgere su quel frammento (per le ragioni suddette), ma mi pare che lei riprendesse e con rinnovato vigore facesse sua quella dicitura, anzi associandola a una più forte intenzione di danneggiamento professionale.
Invitare qualcuno a cambiare lavoro può essere un "consiglio giocoso", o di scherno (come nel nome di un gruppo FaceBook di miei detrattori di cui mi pare lei sia parte), oppure un onesto consiglio professionale (come mi pare lei intenda nel caso del finale del suo secondo articolo a me intitolato - dispetto del non riconoscerni "la minima cultura"), ma prefiggersi la realizzazione di distinte azioni volte al concreto danneggiamento professionale di quel qualcuno, tra cui la delazione verso aziende mirate e poi un generale ostracismo, credo sia veramente tutt'altra cosa.
In diritto normalmente di distingue tra la libertà di pensiero, di espressione, e di "agire". Tra dire e il fare c'è di mezzo una grande differenza di responsabilità civile e penale. Tra pensare e dire male dell'operato professionale di qualcuno e agire affinché quel qualcuno perda il lavoro c'è grande differenza, sono per me vetuste eco di studi giuridici, ma glielo garantisco. Infatti, se ben ricordo, nel nostro ordinamento il reato di diffamazione non è legato alla veridicità del dato diffamante, ma al suo effetto e alla sua intenzione (dolo) di ledere realmente al diffamato. La diffamazione non è la calunnia.
Lo conosco. Non l'ho visto tante volte quante Tezuka Osamu, che è stato invero il punto di partenza per la mia visione del film in questione, ma soprattutto non l'ho mai visto in italiano. Mi hanno ora fatto sapere che il coniglio Thumper si chiama in italiano "Tamburino". Ho poi cercato su Internet, e scoperto quale sarebbe la sua regola, che conoscevo anch'essa, ma consideravo più come "l'insegnamento della mamma di Thumper". Potrei anche ricordarmi male, certo. Ma se la ricordo bene, temo lei non abbia davvero seguito il medesimo insegnamento nel suo primo articolo, vero? ("una persona che palesemente non ha la minima cultura", ricorda?)
Di nuovo non capisco. Lei ha pubblicato dei suoi scritti, delle sue opere. E secondo lei non se ne potrebbe parlare se non in sua presenza?
Ma se lei stesso ha scritto e pubblicato tutti i suoi corposi saggi sulla mia opera professionale senza minimamente cercare la mia, di "presenza"!
Dunque come funziona, secondo lei? Il critico che non riconosce diritto di altrui critica alla propria opera?
Ma no, non credo funzioni così. Non nella realtà. Nella realtà dei fatti lei ha scritto e pubblicato dei saggi di critica sul mio operato professionale. Questi saggi, tanto quanto i miei adattamenti che lei vi ha criticato, vengono letti, commentati, giudicati e criticati in sua presenza o assenza, da me, da tutti, da chi li approva e condivide, da chi li trova persino offensivi e ridicoli. Credo sia inevitabile.
Quanto al mio primo, rapido commento - ero ai tempi davvero molto impegnato sui testi di Eva, e diedi dapprima solo una rapida scorciata al suo, con i miei occhi da benpensante. Altri mi invitarono poi a più attenta lettura di quel primo articolo.
Come dicevo sopra.
Non dubito che potrei, ma non ne ho alcun motivo o intenzione.
Per quanto dicevo sopra.
Solo un poscritto buffo: quanto a prosa vezzosa, le ricordo che "perplimere" non esiste in italiano se non per conio del bravo comico Corrado Guzzanti, o presunto gergo giovanilistico. Indi "perplimente" mi pare un po' un mix di "recalcitranza" e "pochitto" in un solo termine. Le faccio un inchino, ma davvero con giocosa simpatia.
A logica, e secondo le normali prassi della traduzione, dovrebbe essere il contrario: quanto più un lemma è polisemico, tanto più devo restringere il suo significato contestualizzandolo. Cherto è che se, traducendo dalle lingue classiche, fossi autorizzato a rendere sempre in italiano "res" con "cosa" e "lògos" con "parola" fermandomi al primo significato del vocabolario, eviterei ingenti mal di testa e perdite di tempo. Oltretutto il ragionamento su "chikara" sembra stridere con la spiegazione data sopra, cioè che Ferrarin non esercita la sua autorità personale ma sta operando sottobanco, di nascosto. In questo caso sembrerebbe ancora più inadeguata l'accezione generica di "potere", dove forse sarebbe meglio circoscrivere e parlare di "influenze" o di "agganci". Il doppiaggio inglese ad esempio la rende così: "I've got some influence now".
Si potrà obiettare che questa finezza è eccessiva, e si può tranquillamente rimanere al significato di base senza drammatiche perdite nella traduzione. Perfetto, ma allora deve valere lo stesso anche per la miriade di altri casi dove invece la traduzione sembra puntuale ai limiti del pedantesco. Nel caso di "otome", ad esempio, tra tutte le possibili rese in italiano si è andati a selezionare proprio quella che ha la sfumatura di significato più precisa ("pulzella" non è banalmente sinonimo di "fanciulla", fa riferimento preciso alla purezza presunta della fanciulla in questione), e forse non del tutto giustificata dal contesto...
Io secondo lei lavorerei per «lacerti» e «fonti frammentarie» e questo non va bene, lei «scorcia» o riceve screenshot da terzi e questo invece va bene. Ok.
Ah, "scorciare" non vuol dire né "sbirciare" né "leggere" né niente di simile. Usare parole a caso è irrispettoso verso il lettore.
Il «magicamente» si riferiva al lavoro su Neon Genesis Evangelion, non al lavoro sui film Studio Ghibli.
Comunque, per amor di precisione, ho cambiato la frase in «…Dynamic Italia e lì, da totale esordiente, gli è stato affidato l'adattamento nientemeno che di Neon Genesis Evangelion, così, sulla fiducia, e successivamente di altri titoli…».
No.
Ammesso e non concesso che io abbia fatto questo presunto collage di stralci capziosi per metterla in cattiva luce, tutte le fonti, dico tutte le fonti sono linkate. Sono tutte linkate.
Questo vuol dire che se anche io avessi scritto falsità, il lettore può cliccare sulla fonte e andare a leggere coi suoi occhi non solo la citazione virgolettata, ma l'intero suo contributo e l'intero contesto da cui il contributo è tratto. Interviste, post, video, persino il suo curriculum su LinkedIn (suppongo curato da lei) che è stato da me pacificamente linkato nel breve paragrafo sulla formazione professionale (sulle parole «lavorare come free-lance»): è tutto linkato, è tutto disponibile.
Se avessi veramente voluto «unire i puntini» per ricostruire una supposta lacunosa storia di fantasia, almeno non avrei messo le fonti che mi avrebbero smentito. Invece è tutto lì, intatto, a disposizione del lettore: la mia narrazione e la sua narrazione. Sarà il lettore a leggere e a farsi la sua idea.
Spero di essere stato chiaro. Non ho intenzione di tornare mai più sull'argomento fonti.
No.
Non le ho attribuito la traduzione, ma la cura della traduzione dato che è lei a scegliere i traduttori.
Comunque, per amor di precisione, ho cambiato la frase in «…questa non è una motivazione adeguata per curare la traduzione e occuparsi dell'adattamento di un suo film…».
La frase che lei cita è tratta da un contesto più vasto e lei lo sa.
Come scritto sopra, al lettore sono forniti tutti gli strumenti per giudicare da sé: se troverà le mie argomentazioni fallaci, non sarà certo un mio aggettivo (sul suo lavoro, non si di lei) a fargli cambiare idea.
No.
La citazione completa è «una persona che palesemente non ha la minima cultura né tantomeno cura della lingua che usa», ed era inserita in un contesto ben preciso.
Se proprio ci tiene, le riporto una citazione della professoressa Paola Scrolavezza su di lei, che è molto più esplicita e diretta di quanto io sia mai stato in tutti gli articoli:
Qui il problema è la professionalità, che io mi aspetto e profondamente rispetto in ogni campo - anche dal mio barman di fiducia per intenderci -, e che si fonda in primis sull’acquisizione di alcune competenze di base, nello specifico la conoscenza della lingua giapponese e di quella italiana. Qui mancano entrambe.
Voglio sperare che non vorrà accusare di «terribili carenze strutturali» e «malevolenza» anche una docente universitaria.
Queste sono tutte caratteristiche di stile, di cui non mi interessa affatto. Può scrivere come vuole.
Quello che mi interessa, come le ho già scritto e riscritto, è di non spacciare per vere le cose dubbie e per dubbie le cose vere: forse non se ne accorge, forse fa parte del suo stile di scrittura, forse qualche altra ragione ancora, ma lei lo fa e anche molto spesso.
E le consiglierei caldamente anche di evitare i wall of text ed essere più sintetico, magari, dato che né io né immagino lei abbiamo tempo da buttare.
No.
In un commento in risposta a un utente sotto l'articolo 1 ho scritto:
Sono il primo a riconoscere e anzi a inchinarmi davanti alla grande erudizione e alla grande passione di Cannarsi, nei prossimi articoli avrò anche modo di specificare meglio questo aspetto. Sono ancora molto d’accordo che in qualche maniera Cannarsi era la persona giusta al momento giusto, in un mercato di nicchia gestito da due-tre società con un pubblico di persone disamorate alla Mediaset per i suoi adattamenti che negli anni ’90 toccarono il culmine del ridicolo. Cannarsi è stata la risposta estrema a un fenomeno estremo, diciamo, e di questo sono consapevole.
Quindi per favore basta additarmi una mia presunta disistima verso di lei. Veramente, basta.
PER L'ULTIMA VOLTA (non risponderò mai più su questo argomento, giuro): GLI ARTICOLI NON SONO SU DI LEI.
L'unica «presenza» di cui avevo bisogno erano i copioni e i suoi commenti ai copioni. Stop. Basta, la prego.
Vogliamo parlare di epiteti denigratori? Parliamone.
Nei suoi commenti qui su AC dell'anno scorso offese non solo gli articoli (e non si è ancora scusato, ma lasciamo perdere), ma offese anche me personalmente chiamandomi in vari modi fra cui «mr. Nessuno» e «funster» in cui «è impossibile anche solo intravedere una goccia di buona fede» e altro ancora.
Esattamente come offese personalmente l'autrice di questo articolo definendola «[una] person[a che vuole] avere qualcosa da dire, qualcosa con cui apparire espert[a] e darsi un tono. […] Facendo cose simili le persone dimostrano solo la loro stupidaggine, secondo me».
Esattamente come offese personalmente l'autrice di questo articolo definendola «una sciocchina a caso che crede di darsi un tono atteggiandosi a grande critica».
Esattamente come ha offeso per anni molte altre persone su vari forum, diagnosticando loro «follia nel senso clinico del termine» e altro ancora.
È chiara adesso la differenza fra offesa personale e giudizio sull'operato professionale? Io non l'ho mai offesa sul personale e non l'ho mai definita con epiteti, mai, né negli articoli né altrove, anzi avrà notato che negli articoli l'ho sempre esplicitamente chiamata per nome e cognome proprio per rispetto nei suoi confronti, evitando formule come "il vastese" o "l'adattatore" (questa l'ho usata un paio di volte, ma solo per evitare ripetizioni) o altro.
La prego nuovamente di smettere di parlare di problemi inesistenti, come la supposta «malevolenza» che avrei nei suoi confronti. Non tornerò mai più su questo discorso.
No.
Il suo "recalcitranza" è stato preso in giro persino dalla Treccani stessa, e "pochitto" è un neologismo insensato perché il chocchi di Misato non è un neologismo ideato da Anno, ma una parola in slang diffusa da decenni che lei avrebbe potuto e dovuto adattare in italiano con un equivalente parola in slang.
Il verbo "perplimere" invece, per quanto non ancora entrato nei dizionari, è stato riconosciuto e accettato da enti culturali quali la Zanichelli e l'Accademia della Crusca.
Vuole giocare? Allora sappia che «finora ha giocato senza un avversario, il che, come può ben immaginare, è contro le regole» (cit.).